
È in una fredda sera di febbraio che, birra in mano e capelli unti, la nostra eroina rivolge gentili epiteti a dei poliziotti in divisa. Questi - secondo lei - sono colpevoli di “proteggere i fascisti” e di impedire ai suoi compagni di far calare la pesante scure della giustizia democratica, civile e costituzionale. E allora strilla, strepita e sbava: “Dovete morire", "fascisti di merda", "vigliacchi". Sono queste le perle che la gentil donzella, con i suoi 38 anni portati piuttosto male, rivolge agli agenti in un attimo di grazia femminile e di amore spassionato.
Quello che riguarda Azione Studentesca, al di là dello squallido teatrino delle miserie umane messo in campo dagli antifascisti, è che la signora in questione - per guadagnarsi da vivere - insegna in una scuola. Ebbene, sì: la nostra eroina è assunta dallo Stato italiano come insegnante, come una lavoratrice del pubblico settore che dovrebbe istruire le giovani generazioni e dare loro una forma. E cosa avrebbe da insegnare una demente che inveisce senza motivo, a telecamere accese, contro le forze di Polizia di quello Stato per il quale lei stessa lavora come educatrice?
Li conosciamo bene. Si potrebbe pensare che quello della nostra eroina sia un caso isolato, ma non è così: la scuola Italiana, a mezzo secolo dal 1968, è costellata di situazioni come questa. Il libertinismo sessantottino, frivolo e decadente, ha prodotto i suoi frutti: indisciplina, rifiuto di ogni forma di autorità, vilipendio della Nazione e dello Stato, materialismo galoppante, assenza di riferimenti e di valori. È il risultato di mezzo secolo di antifascismo culturale: quello dei diritti per tutti e della violenza politica come mezzo di espressione, dello sradicamento come dogma e della deformità come orizzonte, della delega come prassi e della droga come viatico.
Li conosciamo bene. Molti dei nostri “educatori”, purtroppo, sono così: falsamente impegnati, fintamente democratici e ipocritamente aperti. Hanno maledetto la vocazione spirituale per fare dell’odio sociale la loro religione, sacrificando il confronto sull’altare della faziosità progressista, codina e radical chic.
Li conosciamo bene, perché stanno in cattedra e ci guardano in cagnesco. Loro, i libertari degli “anni formidabili” dei Mario Capanna, dei Tony Negri e degli Oreste Scalzone - quelli che nacquero incendiari e crebbero pompieri - sono oggi i primi nemici della libertà. Erano i figli dei fiori, ma sono diventati i custodi del mercato, i sacerdoti del pensiero unico globale, i guardiani del sistema finanziario al soldo della mondializzazione e del consumo di massa: vogliono abbattere i confini e sognano l’estinzione del loro stesso popolo; confondono lo sfruttamento capitalistico con la solidarietà internazionale e la sostituzione etnica con il confronto multiculturale.
Li conosciamo bene, perché hanno il brutto vizio di scambiare le nostre aule per delle tribune politiche, penalizzandoci per la nostra scelta militante fuori dagli schemi. Ci guardano in cagnesco, perché distribuiamo un volantino fuori dalla scuola, parliamo di Patria nelle assemblee e o indossiamo la maglietta “sbagliata”. Ci guardano in cagnesco, perché non ci siamo fatti impasticcare dalle loro cazzate, restando sul nostro sentiero e battendoci a testa alta contro tutto e contro tutti. Ci guardano in cagnesco, perché siamo tutto quello che loro non potranno mai essere.
Sulla scuola abbiamo aperto e continueremo ad alimentare un grande dibattito, affinché questa Istituzione torni ad essere la fucina della nuova classe dirigente di questa Nazione e non solo lo sfogatoio dei frustrati, dei repressi e degli incompetenti. Affinché torni ad essere il luogo nel quale la persona si forma, nel solco dell’identità e del merito, delle radici e delle idee.